Il passaggio al metodo di calcolo contributivo, avvenuto nel 1995, ha modificato radicalmente il sistema pensionistico legando il trattamento previdenziale ai contributi effettivamente versati.
L’equità attuariale del modello contributivo sotto determinate condizioni ha migliorato la sostenibilità del sistema pensionistico, tuttavia la scelta di rendere troppo graduale l’introduzione del nuovo modello ha ritardato gli effetti benefici nel sistema tanto da rendere necessari continui interventi di riduzione della spesa. Fino ad arrivare alla riforma Monti-Fornero che ha assicurato notevoli risparmi, con costi sociali elevati.
Da quel momento tutti gli interventi sono stati tesi a facilitare l’accesso alla pensione o a introdurre strumenti di accompagnamento alla stessa per alcune categorie di lavoratori ritenute più fragili.
Da ultimo, nel 2019, si è introdotta la cosiddetta quota 100, permettendo ai lavoratori di anticipare il pensionamento rispetto ai requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età, con almeno 20 anni di contribuzione per i lavoratori nel regime misto e retributivo e l’aggiunta di un requisito di importo minimo pari a 1,5 volte l’assegno sociale per i lavoratori del sistema contributivo puro) o quelli per la pensione anticipata (41 e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini) a condizione di aver almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contribuzione.
Possono aderire a Quota 100 solo i lavoratori che maturano i requisiti nel triennio 2019-2021. Nel sistema contributivo puro esiste la possibilità di anticipare il pensionamento con almeno 64 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione, con un importo pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale.
Dal 1° gennaio 2022
Viceversa, dal 1° gennaio 2022 per la generalità dei lavoratori con sistema misto e retributivo la possibilità di uscita è limitata ai requisiti ordinari per la pensione di vecchiaia o anticipata e non è previsto un requisito che permetta di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro.
Tale mancanza di flessibilità genera proteste da parte dei lavoratori prossimi all’uscita dal mondo del lavoro che vorrebbero un intervento del governo in tema di pensioni che consentisse un anticipo rispetto ai requisiti ordinari, riducendo così la disparità di trattamento tra i lavoratori che hanno potuto beneficiare di quota 100 e coloro che, raggiungono i requisiti dopo il 2021.
A tale riguardo nel dibattito pubblico ci sono almeno tre diverse proposte di revisione del sistema pensionistico.
- 41 anni di contribuzione: si riduce il requisito dell’anzianità contributiva a 41 di anni di contribuzione per l’accesso alla pensione anticipata sia per gli uomini che per le donne, favorendo coloro che hanno un numero elevato di anni di contribuzione indipendentemente dal requisito anagrafico. La proposta non prevede modifiche al metodo di calcolo della pensione.
- Opzione al calcolo contributivo: si introduce un requisito di flessibilità che permetta a tutti l’uscita anticipata con i requisiti previsti per i lavoratori del sistema contributivo (64 anni di età e almeno 20 di anzianità contributiva con un importo minimo della pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale). A causa della limitata possibilità di accesso per i lavoratori autonomi e per le donne, si propone in alternativa un requisito di almeno 64 anni di età e 36 anni di contributi, senza il limite sul valore dell’assegno. La proposta prevede la modifica al calcolo della pensione che viene effettuato con le regole dell’opzione al contributivo.
- Anticipo della quota contributiva della pensione: si permette ai lavoratori del sistema misto l’anticipo pensionistico della sola quota di pensione contributiva al raggiungimento dei seguenti requisiti: almeno 63 anni di età, almeno 20 anni di contribuzione e un importo minimo di 1,2 volte l’assegno sociale. Al raggiungimento del requisito di vecchiaia al lavoratore viene riconosciuta anche la quota retributiva della pensione.
Nel primo caso il livello di maggior spesa pensionistica è crescente dai 4,3 miliardi del 2022 a 9,2 miliardi alla fine del decennio. Dunque, una riforma costosa che nell’anno di maggior costo impegna circa lo 0,4% del prodotto interno lordo che poi si va ad attenuare.
Nel secondo caso si realizza una flessibilità nella direzione del sistema contributivo con forti elementi di equità con lo sviluppo di risparmi già poco prima del 2035 per effetto della minor quota di pensione dovuta all’anticipo, ma soprattutto ai risparmi generati dal calcolo contributivo.
Nell’ultima proposta analizzata si garantisce flessibilità solo alla parte della pensione calcolata con il sistema contributivo con costi molto più bassi (per effetto dell’anticipo parziale della pensione e delle più basse propensioni utilizzate nella stima) che partono da circa 0,5 miliardi e raggiungono il massimo costo nel 2029 con 2,4 miliardi di euro. Nel lungo periodo la spesa pensionistica si riduce rispetto alla normativa vigente alla fine degli anni ’30 per effetto della minor quota di pensione dovuta all’effetto anticipo.
La scelta che farà il legislatore dovrebbe tenere conto dell’equità intergenerazionale cercando di creare condizioni di flessibilità nella direzione di quelle già esistenti nel sistema contributivo in modo da non generare ulteriori discriminazioni tra generazioni di lavoratori spostando ancora una volta i costi di un intervento a carico delle giovani generazioni.