Il Rapporto annuale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale offre dati aggiornati sulla previdenza sociale e sul mercato del lavoro in Italia.
Nel 2023 gli assicurati INPS – che includono lavoratori dipendenti e indipendenti obbligati ai versamenti previdenziali, esclusi i professionisti iscritti alle casse previdenziali private – sono stati 26,6 milioni (+1,2% rispetto al 2022).
Si registra un aumento dei lavoratori dipendenti e una riduzione dei lavoratori autonomi. Gli iscritti alla Gestione Artigiani sono scesi per la prima volta sotto quota 1,5 milioni.
Crescono gli assicurati con meno di 35 anni che sfiorano i 7 milioni (erano 6,4 milioni nel 2019, prima della pandemia). Tuttavia, seppur migliorato, il quadro generale per i giovani non è confortante: aumentano le difficoltà a trovare un lavoro stabile e ben remunerato, è bassa la percentuale di accesso alla formazione universitaria.
Pensioni e pensionati
Nel 2023 il numero di pensionati è rimasto sostanzialmente stabile, intorno ai 16 milioni (7,8 milioni di maschi e 8,4 milioni di femmine), con una spesa di poco inferiore ai 347 miliardi di euro.
Il flusso di nuovi beneficiari di trattamento pensionistico, le prestazioni liquidate dall’INPS nel 2023 sono state pari a circa 1,5 milioni, un livello analogo a quello del 2022.
Tuttavia, l’aumento dell’età media della popolazione, il calo della fecondità e la riduzione della popolazione in età lavorativa, non compensati dall’immigrazione, stanno determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti che compromette la sostenibilità economica del sistema previdenziale nel lungo periodo. Se l’ammontare delle prestazioni erogate supera i contributi ricevuti, si determina uno squilibrio strutturale del sistema che deve essere ripianato.
Caratteristiche del sistema previdenziale italiano
Oltre la metà della spesa pensionistica totale è andata alle pensioni di anzianità e anticipate, seguite da pensioni di vecchiaia e pensioni al superstite. Le prestazioni assistenziali (agli invalidi civili e pensioni/ assegni sociali) hanno assorbito l’8% del totale.
La spesa italiana per trattamenti previdenziali è storicamente superiore alla media sia europea che dei Paesi OCSE. Nel 2021 si è attestata al 16,3% del PIL, inferiore solo a quella della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%.
Secondo previsioni EUROSTAT che tengono conto della struttura demografica della popolazione e della sua speranza di vita, la spesa pensionistica italiana in rapporto al PIL crescerà ulteriormente nel prossimo decennio per poi scendere e avvicinarsi alla media europea intorno al 2065.
L’elevato livello di spesa per pensioni riflette due caratteristiche del sistema previdenziale italiano:
- nonostante l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia sia a 67 anni (il livello più alto nell’Unione europea), l’età effettiva di pensionamento è ancora relativamente bassa (64,2), a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro
- il tasso di sostituzione rispetto all’ultima retribuzione percepita prima del pensionamento è tra i più alti nell’UE (in Italia è stimato intorno al 59%, quasi 14 punti percentuali sopra la media europea).
Rispetto al 2022, l’importo lordo mensile medio delle pensioni è aumentato del 7,1%, in parte a causa della perequazione. Gli importi medi più elevati si registrano al Nord e nel Lazio, mentre i più bassi in Calabria e nel resto del Mezzogiorno.
Disparità di genere
Gli uomini ricevono più prestazioni previdenziali rispetto alle donne, che beneficiano maggiormente di pensioni e assegni sociali e trattamenti di invalidità civile.
Sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), le femmine nel 2023 hanno percepito il 44% dei redditi pensionistici (153 miliardi di euro), contro i 194 miliardi dei maschi. L’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini è stato superiore a quello delle donne di circa il 35%.
Il divario di genere per le prestazioni liquidate nel 2023 è stabile al 27%. I divari più consistenti si riscontrano nelle regioni dove gli importi medi delle prestazioni sono più elevati. In Veneto, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, le donne percepiscono un trattamento che è inferiore a quello degli uomini di oltre il 30%. I divari più contenuti si registrano in Calabria, Sardegna e Campania.